La meraviglia come modalità di vivere: Ostia attraverso il mio sguardo
C’è un modo di guardare il mondo che non si accontenta di registrare ciò che accade, ma si mette in ascolto.
C’è un modo di guardare il mondo che non si accontenta di registrare ciò che accade, ma si mette in ascolto.
È lo sguardo che la filosofa spagnola Maria Zambrano chiama meraviglia. Non un’emozione passeggera, ma una forma di conoscenza. Una disposizione interiore che permette di cogliere l’essenza delle cose prima che le parole le imprigionino, un ascolto che precede ogni giudizio. È l’istante in cui il reale si offre nella sua verità più semplice, chiedendo di essere riconosciuto, non spiegato.
È questo lo sguardo che vivo nella mia Ostia quotidiana, uno sguardo che è alla base del mio racconto di Ostia, un esercizio quotidiano di meraviglia applicata al territorio.
“La mia Ostia” non è solo una pagina o un giornale, non cerca soltanto notizie o lo scatto perfetto, cerca il momento in cui Ostia si mostra così com’è. Una luce che vibra nel mare, un molo che diventa linea del tempo, il volo dei gabbiani nelle prime ore del mattino, lo sguardo di chi abita le strade. Non costruisce scenari, li ascolta.
Il racconto del territorio non parte dall’urgenza della cronaca, ma da quella soglia interiore da cui nasce la vera comprensione. Ogni immagine, ogni storia, ogni frammento raccolto sulle strade, sul mare o nelle vite delle persone è accolto così come la Zambrano invita a fare con la realtà: lasciando che sia lei a parlare per prima.
La meraviglia è una forma di rispetto. È il rifiuto di ridurre il mondo a un problema da analizzare, è la scelta di accogliere ciò che si manifesta. Nel mio lavoro di giornalista e narratore del territorio questo atteggiamento diventa modalità di vita. Guardo Ostia non per piegarla a un racconto prestabilito, ma per riconoscerne i segnali, le bellezze evidenti e quelle silenziose. Nel mio fotografare e nel mio scrivere la città non viene spiegata, viene rivelata.
La Zambrano sostiene che la verità ha bisogno di delicatezza per emergere. Questo spero avvenga quando trasformo un dettaglio in un racconto. Una luce sulla battigia, la rugiada al mattino presto, un frammento di memoria, una trasformazione urbana. Cose che sfuggono alla velocità del notiziario ma che parlano al cuore profondo di chi abita un luogo. È lì che il territorio diventa comunità. Le mie immagini seguono questa logica: ci invitano a fermarci, a sospendere la corsa, a vedere ciò che normalmente sfugge.
Così, nel mio modo di raccontare Ostia, la meraviglia non è un abbellimento, è la struttura portante. Permette di vedere oltre l’apparenza, di entrare nelle pieghe di una città spesso percepita solo attraverso stereotipi o emergenze. La meraviglia restituisce complessità, dona tempo allo sguardo, fa nascere un pensiero più umano. La meraviglia come forma di conoscenza, come cura, come restituzione del mondo al suo valore più vero.
“La mia Ostia” diventa quindi non solo un racconto, ma una continua presenza. Un invito alla cittadinanza a riscoprirsi parte di un luogo che ha ancora molto da dire, se ci si dispone ad ascoltarlo. È questo che fa la meraviglia: apre la porta al nuovo, mantiene vivo il sentimento del possibile.
E forse è proprio questo, spero, il contributo più prezioso del mio lavoro. Far sentire che una città, quando è guardata con meraviglia, può smettere di essere solo spazio e tornare a essere casa.
di Aldo Marinelli del 08 dicembre 2025



